Bosa: rovistando tra i suoi colori e le sue molteplici facce.

Bosa. Le parole probabilmente più associate a questo paese sono turismo estivo, carnevale, malvasia, fiume, castello, forse filè. 

Bosa è questo? Sì, certo. Sono termini che le appartengono. Ma la descrivono? Non esattamente per quello che cela. Ho visitato Bosa questa settimana dopo decenni. L’ho scoperta con gli occhi di un’adulta che necessariamente si trascinano curiosità, pensiero critico, possibilità di confronto. In questi due giorni una parola è emersa: dualità, intensa come più facce della stessa medaglia, come doppia personalità. 

Innanzitutto la bellezza nel raggiungere il paese. Immaginate di percorrere una strada tra ampie campagne, in cui perdersi tra i gialli della terra, i grigi della roccia e gli azzurri del cielo. Quando poi cominciano le curve  si apre la vallata. Di fronte a voi il mare, di lato il fiume, sulla collina i colori delle case e in cima il castello. Concluse le curve attraversate il fiume ed entrate in paese.

La maggior parte di noi ha immaginato Bosa come un paese che in estate si denaturalizza diventando la città turistica. Camminando per le vie del paese, tra la parte bassa e la parte alta, tra una sponda e l’altra del Temo si incontrano turisti ma l’aria che si respira sa di autentico. Certo, nella via principale del centro trovi negozietti di souvenir e ristoranti con menù pensati per i “non locali”, ma con l’armonia di una città che vuole accogliere i locali e i passanti. E lo fa mostrandosi al meglio. Non si percepisce quell’ambiente turisticamente afoso e opprimente. Si passeggia per le vie, si saluta chiunque si incontri nella lingua che si preferisce e si continua a guardare, osservare, camminare. 

Prima tappa. La nostra visita parte dal corso Vittorio Emanuele andando in direzione del duomo. Girate in una qualsiasi stradina alla vostra sinistra e cominciate a perdervi. Il punto di riferimento è il castello. Vi troverete a passeggiare tra case dai colori pastello più vari, stradine decorate da fiori e piante ospitati da vasi di latta o cassette della frutta. Sentirete programmi radio e film giungere da dietro le tende. Incontrerete signori che prendono il fresco e chiacchierano di tutto e di niente. Quasi giunti in cima, troverete la casa dell’abbandonart, abitata da personaggi fatti da materiali di abbandono, essenza stessa del rudere in cui si affacciano. E se vi interessa scoprire il filè, pochi passi più avanti una signora vi mostrerà l’arte del ricamo ispirata dalle reti dei pescatori. Raggiunto il castello potrete decidere se entrare a visitarlo o se semplicemente godere del paesaggio che si apre di fronte a voi. E perché no? Magari accompagnandolo a un bicchiere di malvasia o un malvasia spritz.

Seconda tappa. Partiamo dal fiume Temo. Siamo sulla sponda più vicina al centro del paese. Passeggiamo tra le reti dei pescatori e guardiamo sull’altra sponda le vecchie concerie. Giunti a un affascinante ponte, attraversiamo il fiume. Sull’altro lato il paesaggio cambia. Uno spazio aperto che ci riporta agli anni ‘80, quando le famiglie andavano al mare munite di mezza cucina e mezzo salone. Ci sono sdraio e tavolini con tovaglie a quadretti sparsi sulla riva del Temo e tre food truck organizzati per la cena, l’aperitivo e il dopo cena. Che mangiate il fish burger di Panko, le sardine impanate e fritte di Alduccio o vi gustiate un bicchiere fresco di malvasia di BarAvan, certamente non vi pentirete di aver fatto una sosta su questo angolo del paese. 

Terza tappa. Il mare. Devo dire che la spiaggia di Bosa Marina non è tra le eccellenze del mare isolano. Pulita, grande, sabbiosa, anonima. Il carattere che manca a questa spiaggia è sicuramente presente sull’altro lato della foce del Temo. Vale davvero la pena dedicare anche solo mezza giornata a Cane Malu. Dovrete munirvi di scarpe chiuse o sandali adatti ed evitare di prendere troppe cose con voi. Passereste il percorso a sentire la fatica invece di godervi la passeggiata. Preso un sentiero sterrato, si cammina per cinque minuti fino a raggiungere il sentiero vero e proprio. Camminerete prima tra la macchia mediterranea circondati da mirto, lentisco, artemisia, e subito dopo tra i pavimenti di trachite bianca. Un panorama a tratti lunare, a tratti desertico. I sedimenti rocciosi qui formano una piscina naturale in cui i colori azzurri e verdi riflettono il bianco delle rocce. 

Ma l’anima di Bosa non finisce qui. Quei colori pastello regalano anche esperienze di notevole interesse storico sociale, legate al mondo dell’economia locale e della cultura. È il caso, ad esempio, del Museo delle Conce “sas Conzas” che racconta una storia che parte già ai tempi della dominazione romana, per organizzarsi sotto forma di industria nell’arco del Settecento fino a concludere con la chiusura dell’ultima concia nel 1962. Le conce erano situate lungo la riva del fiume, poiché l’acqua era un elemento fondamentale durante la lavorazione, hanno un fronte continuo e  due piani con tetto a doppio spiovente e grandi finestre. Furono costruite nella prima metà dell’Ottocento lontano dal centro abitato per via dei cattivi odori prodotti durante le fasi di lavorazione delle pelli. Un piccolo museo davvero interessante e imperdibile durante una sosta in paese. 

Una bella passeggiata da fare fuori dal paese concise verso quella che doveva essere la Bosa vetus, insediamento romano prima e poi bordo di età giudicale. Lungo la strada il paesaggio si caratterizza per il verde di piante da frutto, uliveti e radiose vigne di Malvasia che nei primi giorni di luglio sono gronde di foglie per nutrire piccoli e maturandi grappoli d’uva. A 5 minuti dal centro del paese, proseguendo la via San Pietro sulla riva sinistra del fiume Temo, si arriva a un’antica chiesa in stile romanico che vale la pena di vedere anche sotto il sole rovente di luglio. L’edificio fu costruito in trachite vulcanica rossa in più riprese a partire dal XI secolo e risulta una tra le più antiche chiese romaniche in Sardegna. Soffermarsi di fronte alla facciata della chiesa è il minimo; chiunque può apprezzarne la bellezza delle sue sculture e delle sue decorazioni architettoniche: dagli archetti ogivali, all’architrave scolpito del portale centrale, dagli archetti a semicerchi intrecciati sotto gli spioventi delle arcatelle fino all’edicola al vertice su colonnine ofitiche, “sigla” del maestro Anselmo da Como, lo stesso che progettò e realizzò nel 1291 la chiesa di San Pietro di Zuri. 

Ma Bosa, come abbiamo detto, è anche terra di Malvasia. D’obbligo quindi un assaggio di buon vino locale, che viene servito normalmente in ogni bar del centro. Noi vi suggeriamo di degustarlo seguito da una bella storia e due chiacchiere in cantina. Così, almeno, è quanto facciamo di norma durante le nostre avventure. 

Nel paese, a circa 2 km dall’abitato, c’è la Cantina Madeddu.

Questa tappa è inevitabile per avvicinarvi al mondo del vino, in cantina troverete il signor Franco, uomo di grande ospitalità che ha davvero tante storie da raccontare, non solo legate al vino ma anche al paese e a  tutto il territorio.

Insieme a lui abbiamo assaggiato 4 grandi vini prodotti dalla sua passione, intervallati da tante chiacchiere sulla cultura bosana e sul carnevale: Giolzi e s’attitidu, che sono anche i nomi dei vini di punta della cantina (consiglio: fare una tappa il martedì grasso a Bosa per il carrasegare osincu almeno una volta nella vita). La Malvasia Madeddu è un ottimo vino, equilibrato e beverino, anche nella versione spumantizzata demisec (che non fa venire nessun cerchio alla testa, come ci ha tenuto a sottolineare il signor Franco) e la visita in cantina è stata davvero un piacevole momento distensivo e di conoscenza, anche grazie alla meravigliosa vista panoramica verso la vallata e verso Sa Costa. 

Isabella Atzeni e Valerio Deidda

Luoghi da visitare: Bosa, castello di Serravalle, Cane Malu, cantina Madeddu, museo delle Conce, chiesa di San Pietro.

Cose da fare: provare la malvasia di Bosa, visitare il paese durante il martedì grasso, perdersi nelle vie del paese.