Futuro – Parte terza

Avete letto le prime due parti di Futuro? No? Allora cosa aspettate, potete rileggerle qui: 

Frank, cosi si chiama il nostro amico di questa storia, è un ragazzo timido. Lo è sempre stato anche prima dell’epidemia. 

Porta i capelli cortissimi, quasi radi, perché avendone pochi si vergogna di farseli crescere.

Ha gli occhi grigio verdi, un viso tondo con la barba lunga ma ben curata. Altezza media con un fisico scolpito ma non troppo, ama il calcio, anche se purtroppo non lo può più praticare a causa degli spazi. Uno dei pochi oggetti che è riuscito a portarsi appresso è stato il pallone da calcio, ricordo della sua infanzia e giovinezza, ma soprattutto ricordo della vita precedente senza tutte le regole, che ora invece è costretto a seguire. Frank lavora nel suo laboratorio, all’interno della sua stanza, e crea con l’uso del pc e della stampante tridimensionale vasetti con all’interno dei semi che, inseriti in un particolare forno, si trasformano in ortaggi: carote, finocchi, bietole, rosmarino e altri. Una volta creati i vasetti li inserisce in un apposito contenitore situato fuori dalla propria abitazione, che poi vengono trasportati ed inviati a chi ne fa richiesta. Tutto questo perché per via della contaminazione da virus non si può più coltivare la terra, né le serre e neanche i semplici orti caserecci.

A proposito di virus, vi era stata una bruttissima epidemia dovuta a vari ceppi di virus, sprigionati e creati dallo stesso ambiente oramai malato e saturo, dovuto a tante cattive abitudini degli esseri umani. L’aria era diventata irrespirabile, ed era necessario usare delle mascherine adatte che emettevano ossigeno sicuro e soprattutto pulito. La terra aveva cambiato colore, persino gli alberi,  l’erba e i fiori.

Perciò a causa di tutto questo, oltre ad esserci stata una diminuzione della popolazione, si era dovuto ricorrere alla creazione di ambienti puliti e senza contaminazione, tutto si doveva svolgere rispettando gli orari assegnati e soprattutto le regole.

Non ci si conosceva l’uno con l’altro in quanto non era possibile avere dei rapporti ravvicinati, si comunicava tramite e-mail o video chiamate, ci si incontrava con gli amici in una stanza multimediale, ma ognuno era comunque nella propria abitazione.

Ma torniamo al nostro personaggio. La mattina si alzava presto e prima di fare colazione aveva l’abitudine di fare yoga …. Proiettava dal suo pc delle immagini di albe accompagnate dal suono del mare. Questo gli ricordava le sue origini ma soprattutto la sua infanzia.

I suoi parenti erano morti quasi tutti a causa del virus, aveva un fratello ma abitava molto lontano e si sentivano poco. Lui era stato fortunato perché si era già creato una famiglia prima del disastro, per questo era stato mandato in un luogo diverso dal suo, adattato diversamente per accogliere anche i bambini.

La notte si andava a letto sempre stanchissimo. Immaginava di trovarsi in luoghi aperti a giocare, correre e a ridere del più e del meno con le persone. Sognava di rincorrere il suo amico pallone. Sapeva che prima o poi sarebbe tornato tutto alla normalità: doveva solo crederci e sperare che questo suo sogno si realizzasse al più presto.

 Ma qual era la normalità? 

Un futuro immaginato in un solo ambiente o il rincorrere un pallone?

Frank, l’unica cosa che sapeva per certo,  era che ogni sera le medicine che prendeva gli facevano immaginare stanze bianche e solitarie.

Alice Kikki