Immagini dal mondo

Ogni 15 giorni la rubrica “Immagini dal mondo” suggerisce narrazioni in foto che raccontano cosa succede nel mondo. Questa volta le immagini sono diventate un’intervista a una fotografa che ha dato vita a un progetto molto interessante e che sta coinvolgendo decine e decine di persone. Le difficoltà che ognuno di noi sta incontrando nella quotidianità possono essere controllate e gestite in modo da avere una crescita personale. Può la fotografia aiutare e dare delle risposte in questo senso? 

Una breve intervista ad Alessandra Cecchetto (Arbus 1987) per conoscere lei e il suo progetto Photovid19, un’idea di arte partecipata, un esempio di fotografia sociale ma anche un modo per sopravvivere e superare il periodo di quarantena. (Qui trovi un altro articolo che parla della fotografa)

  • Alessandra Cecchetto, io ricordo di aver scoperto la tua luce al Museo Man di Nuoro tanti anni fa. Ma ricordo ancora bene quel momento. Lo so che è difficile ma: vuoi raccontarmi chi sei e se è cambiato qualcosa da quel momento? 

Era il 2013, al Man di Nuoro era in mostra il mio Reportage sul ciclone Cleopatra che colpì la Sardegna, lo realizzai entrando casa per casa con il supporto del mio amico e giornalista freelance Roberto Mulas, un’esperienza dura e umanamente indimenticabile.
Dal 2011 fotografare per me è diventato un modo di pensare, di vivere, di curare, di incontrare e fare esperienza del mondo e nelle altre sensibilità che mi circondano.
Il mio avvicinamento alla fotografia come strumento di espressione artistica e personale è avvenuto in un momento di profondo cambiamento nella mia vita. Lì ho deciso, nella mia estrema timidezza di allora, di puntare la macchina fotografica su di me per capire cosa sarebbe successo.
Fotografarmi è diventato un atto liberatorio e catartico; rivedendomi potevo assumere nuova forma, rinascere, accettarmi e amarmi profondamente, con il coraggio e la curiosità che contraddistingue chi fissa lo specchio cercando sé stesso.
Contemporaneamente a questa ricerca, inizia la passione per le persone, in particolare per la fragilità umana e la fotografia di Reportage Sociale.
Prima di “Cleopatra”, nel 2013, sono stata chiamata a raccontare il post-terremoto all’Aquila, lo reputo un Reportage che ha segnato profondamente gli anni successivi e il mio modo di fotografare.
Ho sempre considerato la fotografia di Reportage un modo per poter vivere esperienze e trasmetterle a chi non ha avuto la stessa possibilità, uno strumento di denuncia per mettere in luce aspetti sconosciuti, realtà nascoste e fragili.
Quando mi sono trovata all’Aquila ho conosciuto il terremoto e soprattutto le conseguenze che aveva lasciato dietro di sé, ho sentito un senso di impotenza unico, in più occasioni non sono riuscita a scattare. Mi sono trovata a rispettare il tacito accordo di silenzio e rispetto che permeava nell’aria.
Da lì in poi ho realizzato che per poter raccontare il dolore fosse necessario un cuore fermo e forte, ho sviluppato consapevolezza e controllo. Solo con l’esperienza successiva e dopo questo grande insegnamento, sono riuscita davvero a controllare la grande sensibilità ed empatia canalizzandola nell’atto stesso del fotografare.
Dopo molti anni di apprendimento da autodidatta e sperimentazione su qualsiasi genere fotografico, nel 2015 ho avuto modo, grazie ad una borsa di studio, di conseguire un Master in Reportage e ricerca personale a Roma, anno in cui ho realizzato il mio Reportage “Circus Festival”.
Dal 2016 mi sono avvicinata all’insegnamento per gioco, scoprendo con grande sorpresa di sentirmi per la prima volta “al posto giusto”, appagata ed emozionata dallo scambio e dalla crescita umana che poteva scaturire da esso.
La mia esperienza fotografica nasce quindi dal Reportage sociale, e si evolve e include l’insegnamento non convenzionale, la foto-terapia e la fotografia relazionale.

  • Perché fotografare? Qual è il tuo rapporto con la luce e quindi con la fotografia? 

Fotografare per me è guardare attraverso un filtro sensibile, non riuscirei a guardare senza fotografare.
Rappresenta un mezzo per vivere esperienze, conoscere e reinterpretare me stessa e il mondo che mi circonda, spingendomi a mettermi in gioco andando oltre i limiti personali, 
È inoltre uno strumento per canalizzare e trasformare il dolore in bellezza, in un profondo atto di resilienza.

  • Parto da una definizione, non so a te ma a me piacciono un sacco (nel bene e nel male). Arte partecipativa, è un’espressione con cui si fa riferimento a quelle forme artistiche dove la presenza dello spettatore è di fondamentale importanza per la realizzazione stessa dell’opera d’arte. Questa definizione è stata coniata da Claire Bishop nel suo libro “Artificial Hells” dove lei comprende diverse pratiche artistiche che spaziano dall’attivismo, alle arti socialmente impegnate e a quelle pubbliche. Photovid 19 è arte partecipativa? Raccontami un po’… 

Photovid19 è un progetto che nasce il 15 marzo 2020 come pagina Instagram. E’ un album fotografico collettivo che racconta le emozioni vissute durante la quarantena.
Sono sicura che Photovid19 sia un progetto di arte partecipativa; esso non esisterebbe senza la partecipazione delle persone che inviano i loro scatti e attraverso questo gesto condividono e rendono universali e fruibili i propri sentimenti ed emozioni. È una piccola comunità sempre in crescita, formata da coloro che credono nel potere artistico della condivisione.
In particolare è un progetto di arte partecipativa e relazionale. Questo termine venne per la prima volta utilizzato da un critico d’arte francese, Nicolas Bourriaud, che definì questo approccio come “un insieme di pratiche artistiche che considerano il loro punto di partenza teorico e pratico l’insieme delle relazioni umane e del loro contesto sociale… in cui l’artista può essere visto più accuratamente come un ‘catalizzatore’ nell’arte relazionale, piuttosto che essere al centro.”
Nell’arte partecipativa l’opera perde importanza, non diventa la finalità ma la motivazione per trasformare l’atto artistico in un percorso di crescita e di presa di coscienza, abbandonando completamente il concetto estetico tradizionale.
Aggiungo inoltre il potente ruolo “terapeutico” dell’opera artistica, utile ad esprimere la soggettività dell’individuo e a dare conforto nell’atto stesso della condivisione.

  • Pensi che la fotografia ricopra un ruolo fondamentale come ausilio per le situazioni di crisi, siano esse emotive legate a eventi come quello che stiamo vivendo, ma anche e soprattutto per disagi psicofisici che ognuno di noi vive nella propria intimità? 

La fotografia come qualsiasi forma creativa ha un grandissimo potere nel benessere individuale e ad utilizzo terapeutico.
Le foto ci danno la possibilità di scavare nell’inconscio e scoprire una parte di noi stessi spesso celata alla razionalità. Ci permettono di conoscere il mondo attraverso la sua rappresentazione prendendo consapevolezza di chi siamo.
Ho sempre usato la fotografia per trasformare e per urlare (da qui il mio nome d’arte “Cridàr”) e posso assicurare a chiunque che fotografare o fotografarsi in un momento di forte dolore o disperazione sia liberatorio e calmante e possa permettere di vivere con maggiore leggerezza e consapevolezza uno stato di insicurezza e malessere.
Ognuno di noi ha un piccolo o grande disagio con una parte di sé stesso e sicuramente la fotografia può aiutare a riconoscersi, capirsi e accettarsi in questo.

  • Concordo, la fotografia è un modo per entrare in contatto con il proprio sé reale e profondo. Mettiamo che per assurdo domani tutta questa impensabile situazione mondiale finisca: quale sarà il futuro del progetto?

Il progetto Photovid19 è in continua evoluzione, di recente è nato un bellissimo gemellaggio con il Brasile che ha portato alla nascita della pagina Instagram “Photovid19_Brasil” in collaborazione con il fotografo Mateus Morbeck.
Vedere le prime foto pubblicate sulla nuova pagina mi ha riempito il cuore e fatto credere ulteriormente nella bellezza e forza della condivisione.
In futuro siamo sicuri di voler andare oltre il social e la piattaforma virtuale per attivare una serie di mostre e pubblicazioni.

  • Ci racconti due artisti che hanno segnato il tuo profilo professionale e umano e perché?

Questa è la domanda a cui non rispondo mai.
Amo e studio tantissimi fotografi e artisti, ne ammiro altrettanti ma nessuno di loro ha segnato il mio percorso artistico.
Le persone che hanno segnato il mio profilo “umano” (e professionale), sono coloro che hanno creduto nel mio potenziale, le persone incontrate e fotografate che hanno trasmesso un po’ della loro visione e sensibilità verso la vita, e tutti coloro che mi hanno sempre sostenuto e motivato in questo modo di guardare il mondo e di credere nell’arte.

Grazie ad Alessandra Cecchetto e al lavoro che sta portando avanti da anni. Qui sotto trovate una galleria con una selezione di foto dei progetti Photovid19 – Italia e Brasile.

 Se volete seguire più da vicino il progetto Photovid19 qui sotto trovate tutti i dettagli. 

Instagram: www.instagram.com/photovid19/ e /www.instagram.com/photovid19_brasil
Pagina facebook di Alessandra Cecchetto www.facebook.com/Cridarphotography 

Valerio Deidda