L’ALTRA FACCIA DELL’OMOFOBIA AL FEMMINILE: SIMONA RACCONTA SE STESSA E IL PERCHÉ LE LESBICHE NON ESISTONO

Un pensiero libero può spaventare e ferire, ma è anche l’unico a custodire la forza di innescare i cambiamenti dentro di sé e là fuori, in mezzo a tutta quella gente impaurita. Simona ha quasi trent’anni, gli occhi castani e fieri, il timore di ferire e quello di non essere compresa. “Perché sono argomenti delicati e se ne parla sempre troppo poco”. Eppure è pronta a condividere con noi un importante semino di libertà.

Quando hai capito di essere lesbica?

Capire è un termine che non mi piace perché implica quasi un’illuminazione, un qualcosa di improvviso. Non si capisce, piuttosto si prende coscienza di una qualcosa che si sa già. 

Quando io ho preso coscienza avevo 12 o forse 13 anni. È stato come rimettere insieme dei puntini. È successo che mi sono presa una cotta per un’amica delle scuole medie e lei.. Ha ricambiato!

Ho avuto fortuna. Certo, come la gran parte delle infatuazioni adolescenziali, è stata una storia veloce ed intensa, un soffio, ma mi ha aiutato a capire chi fossi. Benché già mi rendessi conto che in me c’era qualcosa di diverso rispetto agli altri attorno.

Hai accettato subito la tua natura?

Stranamente… Sì. È stato tutto molto sereno. 

Forse perché mi sono resa conto ad un’età in cui ancora non ero adulta ma nemmeno più una bambina, così mi sono ritrovata ad accettare me allo stesso modo in cui avrei potuto accogliere nella mia vita un giorno di pioggia a Dicembre. È stata una totale e completa accettazione, in modo semplice. Quello stesso modo che hanno i bambini di viversi e abitare il mondo. 

Perché ci sono tante persone che faticano ad accettare il proprio orientamento sessuale, secondo te? 

Perché già sanno che la vita può essere brutta e le cose possono complicarsi, diventare difficili. In un certo senso, si fa fatica ad accettarsi quando ci si ritrova inquinati dalle logiche sociali. Sai già che verrai giudicato e la vita non ti sarà facile. 

Questo, a mio parere, è il motivo. Ho conosciuto persone che hanno preso coscienza della propria omosessualità anche dopo i 20 anni e questo ha causato loro non pochi problemi di accettazione. Per me non è stato così solo perché, quando è successo, ero a due passi dall’infanzia. E, quindi, da poco più che bambina, queste dinamiche del mondo non le comprendevo o comunque erano “le cose dei grandi”.  La mia natura era, per me, una cosa normale, bella, facile e basta.
Alcuni “drammi” sono arrivati dopo, semmai. Quando, però, ero pronta ad affrontarli.

Hai sentito lesigenza di condividere tutto questo con qualcuno? 

Sì, ma non con la mia famiglia. Loro sono un po’.. all’antica. Così, inizialmente, avevo pensato di parlarci ma poi qualche istinto di conservazione sopito mi ha bloccata e, quindi, non l’ho fatto.
Ci sono voluti diversi anni prima che riuscissi a parlarne con loro e, ad oggi, non tutta la mia famiglia ne è a conoscenza. Siamo riservati e ci facciamo poche confidenze, credo sarebbe stato così anche se fossi stata etero. Quando arriverà il momento succederà e ne parleremo molto serenamente. 

L’ho detto subito ai miei amici, invece. “Guardate che sono lesbica”. E sai cosa? Loro si sono messi a ridere, ci abbiamo scherzato su, non gli fregava proprio niente se io fossi lesbica o etero!

Una reazione bella, ma non comune. Anche in questo caso devo ammettere di aver avuto fortuna ed infatti, più tardi, mi è capitato che in seguito al mio coming out sia stata trattata poi diversamente, giudicata, forse anche senza cattiveria, ma me lo sentivo appiccicato addosso che qualcosa era cambiato nell’atteggiamento degli altri. E solo per via del mio essere omosessuale.

La percezione sociale influenza la possibilità di avere rapporti e relazioni affettive? 

Sì. O meglio, dipende dal contesto a cui si appartiene, dal vissuto di ognuno, dalle formazioni sociali di riferimento (amici, famiglia ecc.). Spesso si è convinti che nelle città più grandi sia più facile incontrarsi, per via di una maggiore apertura culturale o anche solo grazie alla legge dei grandi numeri. E allora, di conseguenza, nelle realtà piccole la gente si espone meno, per non essere discriminata. Ma questo non succede sempre né, tantomeno, a mio parere, è legato al luogo dove si vive. Non credo, infatti, che sia più difficile essere gay in Sardegna, per esempio a Cagliari, rispetto ad un’altra città italiana. Vieni sempre giudicato, ovunque. Ed anche altrove ci sono le discriminazioni, le chiusure mentali pari alle nostre, niente più niente meno. Non dipende dal luogo ma da chi decidi di tenerti attorno.

È vero che le donne lesbiche sono meno femminili?

Io credo sia una questione di modelli da seguire, allo stesso modo della questione “virilità” al maschile. Anche noi donne siamo condizionate da una certa immagine di “femminilità” imposta. Ma aggiungo una cosa: dietro la presunta mancanza di femminilità di alcune lesbiche io credo ci sia anche un altro aspetto, un paradosso sullo sfondo: alcune esagerano o fanno propri quei caratteri stereotipati “maschili” quasi per rendersi riconoscibili a vicenda. Da altre lesbiche. E se si viene riconosciute si crea una comunità di appartenenza e ci si sente, a livello identitario, un poco più sicure. 

In un certo senso, quindi, si innesca un meccanismo difensivo e, forse, ci si rende anche un po’ meno libere. Io stessa, per esempio, non vengo riconosciuta subito ma per me questo non è un motivo di sofferenza. In un mondo giusto non ci dovrebbe essere un segno di riconoscimento tra di noi, per trovarci! Forse è anche per questo che, a me, piacciono le donne femminili. E con femminilità non intendo avere, che so, i capelli lunghi, io la scorgo in un modo di fare posato, in una certa cura del corpo, del sé, del linguaggio, un qualcosa molto simile all’eleganza. Ma è il mio modo di recepirla e, naturalmente, anche questo influenzato dalla società, da dei criteri di sentire comuni ed allora imposti. Anche il mio punto di vista, dunque, è viziato da tutto questo.

Fermo restando che chiunque deve sentirsi libero di esprimere la propria personalità come desidera, e questo dovrebbe essere sacrosanto per tutti.

Cosa c’è di diverso, da omosessuale, tra lessere un uomo o una donna? 

All’inizio, durante l’adolescenza, credo sia più difficile per gli uomini. Ahì loro, devono sottostare a determinati diktat e attenersi a certi canoni di virilità e standard di mascolinità. Se se ne discostano vengono derisi, allontanati, vessati all’inverosimile e questo è profondamente ingiusto.

D’altra parte, anche se in maniera diversa, altrettanto ingiustamente veniamo trattate noi. L’omosessualità femminile semplicemente non esiste. 

Ti faccio un esempio: quando capita che un uomo mi approcci io sono sempre me stessa, senza troppi filtri, e dico: “sono lesbica”. Indovina un po’? Non vengo creduta! Non vengo presa sul serio, vengo considerata una ragazzina confusa e, benché sia una cosa odiosa, non posso fare altro che riderci su, lì per lì.

I motivi di questo approccio sono, però, tremendi.

Noi non esistiamo, siamo un vizio, considerate a mo’ di bello spettacolo, un gioco adolescenziale transitorio capitato nell’attesa di incontrare il “vero uomo” che ci faccia cambiare idea. Esistiamo come categoria pornografica, pensata, peraltro, per un pubblico di uomini eterosessuali. E questo dice tutto sulla considerazione che la società ha di noi.

Infine, superata la fase “adolescenti che giocano con le amiche“, agli occhi del mondo tutt’al più diventiamo delle zitelle che non hanno avuto la “fortuna” di essere scelte dall’uomo di turno. 

Le lesbiche quindi: o non esistono, o esistono solo per solleticare la fantasia maschile. In pratica subiamo una discriminazione nella discriminazione in quanto donne e, poi, in quanto omosessuali, in una società ancora maschilista e patriarcale. 

Io trovo che sia un modo schifosamente paternalistico e degradante di dirti che tu non esisti nella forma in cui sai di essere, e sei.

Questa è l’altra faccia della discriminazione che in pochi conoscono.

Lomofobia, quindi, esiste anche al femminile? 

A parte il bonus “fantasia erotica maschile”, la storia ci dice che sì, anche le donne lesbiche sono odiate. In fondo, dentro i campi di concentramento c’era chi portava addosso un triangolo rosa rovesciato. Uomini e donne.

E poi c’è questo fatto delle persone che non sono mai pronte ad accettare qualcosa che non conoscono… No, non si è mai pronti ad accettare la libertà, le persone libere, le persone che non hanno paura, quelle che se ne fregano, o anche solo chi si pensa essere tale. Tutto questo spaventa. E tanto. Ed è in queste pieghe dell’animo che, io credo, nasce l’odio.

Gli omosessuali si nascondo anche per questo, talvolta? 

Prendiamo ad esempio i siti di dating: la gran parte delle donne si iscrivono senza una foto profilo, un nome proprio, o comunque nessun dato. Niente di niente. Hanno paura.

Io stessa, a sedici anni, ci sono cascata e ho avuto un fidanzatino (solo per una settimana eh!) e l’ho – mi dispiace ammetterlo – “usato” per sviare i sospetti quanto al mio non avere maschi attorno. Sentivo addosso la pressione delle costanti domande. E tante donne lesbiche si sposano, moltissimi uomini gay hanno moglie e figli. Io credo si faccia perché, almeno in apparenza, a livello sociale, rappresenti la via più facile.

In questo approccio noto anche una differenza generazionale: io ho quasi trent’anni e la generazione prima della mia, chi ora ha una quarantina d’anni all’incirca, spesso non ha mai accettato di essere omosessuale. Forse sono stati sfortunati, perché sono vissuti in un’epoca dove l’omosessualità era ancora meno accettata di adesso e così si sono ritrovati a nascondere questa parte di sé, convenzionandosi a quello che la società chiedeva loro.

Non è facile giudicare queste situazioni e non voglio farlo. 

Posso dire, da ciò che vedo, che per la nuova generazione le cose stanno diventando più semplici: i ventenni di oggi sono ancora più liberi di quanto potessi essere io alla loro età.. Basti solo pensare che, adesso, in tutti i telefilm c’è almeno un omosessuale. E ci tengo a dire che questo non è politically correct!, è la vita. Come ci siamo nella vita, finalmente, appariamo anche nei film.

Ma c’è un modo di affrontare le discriminazioni? 

Sai, io credo che le discriminazioni non finiranno e non ci sarà nessun segno dal cielo a segnalare che tutto l’odio è finito. 

E dunque dico a me ed agli altri come me: usciamo fuori anche se il mondo non è pronto! La società non sarà mai pronta al 100%, perché è composta da individui, tutti diversi, e qualcuno avrà sempre da ridire. Questo è normale. 

E allora non possiamo fare altro che comunicare, qui ed ora, ovunque siamo: io esisto, fattene una ragione. La vita è una, non ci possiamo nascondere perché qualcuno non è pronto, prima o poi lo accetteranno. Ma noi, nel frattempo, dobbiamo uscire fuori ed essere noi stessi, anche senza doverne parlare a tutti ed anche se gli altri faranno finta di non vedere o di non recepire. O, peggio, anche se ci odieranno.

Il mondo non è pronto, ma dobbiamo esserlo noi, nel nostro quotidiano! Se quel semino di libertà attecchirà in noi, ne sono convinta, un giorno farà fiorire anche gli altri attorno.

E benché questa, lo so, sia la strada più difficile, io credo davvero che sia anche l’unica percorribile.

Sara Porru