Odo gli augelli far festa

Il recentissimo cataclisma sociale che abbiamo conosciuto, chiamato Covid-19 (più comunemente ribatezzato Coronavirus), al di là della psicosi generale che ci ha mostrato fughe notturne verso gli ultimi treni e lunghe file ai supermercati, dei comportamenti scellerati di taluni individui o dell’incoscienza dei giovani meno coscienziosi, ci deve spingere a qualche riflessione.

In primis sul nostro stile di vita. Costretti repentinamente a modificare le abitudini quotidiane (anche andare a bere una birra in compagnia la sera si è rivelato pericoloso), abbiamo capito che si può vivere in modo più semplice. Ci siamo scoperti vulnerabili, e deboli. Questa emergenza ci ha dimostrato che il modello economico fatto di grandi accorpamenti commerciali, dentro cui si riversano migliaia di persone, non è l’unico possibile.

Se volessimo trarre insegnamento dal momento storico, cosa che ahimé sarà molto difficile per le pressioni del potere economico, potremmo sederci ad analizzare giorno dopo giorno la nostra vita di questo periodo.

Noi non vogliamo suggerire soluzioni, ognuno troverà da sé le proprie risposte – e giustamente potranno non essere le stesse per tutti – però siamo proprio sicuri che con un altro modello di sviluppo avremmo vissuto la medesima, drammatica, situazione?

Vi salutiamo riportando, come buon auspicio, i bellissimi versi del sommo Leopardi dedicati alla “Quiete dopo la tempesta”.

Roberto Deiana

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.

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