LAVORAR CANTANDO

I tempi del lavoro, soprattutto nelle attività fisiche, erano scanditi da un ritmo preciso e costante.

Che fosse coltivare la terra e tirare le reti in mare, ai fini del ritmo, poco importa. Era il lavoro a dettare il tempo. E per mantenere a regime il proprio lavoro spesso, in passato, il canto diventava un elemento d’aiuto. I canti aiutavano a seguire l’andamento fisico. Nel tempo si è formato tutto un repertorio di canti di lavoro.
Tra i più celebri sicuramente sono i canti delle mondine e delle filandere. Ma non mancano certo i canti di mietitura, o quelli dei vogatori. Il mondo del lavoro, nel suo trascorrere, è stato accompagnato dal canto. Con il boom economico degli anni ’60 questo modus è cambiato. Per nostra fortuna diversi studiosi, ricercatori e musicisti si sono accorti della mutazione in atto e hanno salvato, registrandoli, moltissimi di questi canti. Tra i nomi principali non possiamo non ricordare almeno quelli di Roberto Leydi, Diego Carpitella, Alberto Cirese. Così come è doveroso ricordare gli studi antropologici di Ernesto De Martino e la ricerca capillare in terra di Toscana di Caterina Bueno.

Tra i più celebri sicuramente sono i canti delle mondine e delle filandere. Ma non mancano certo i canti di mietitura, o quelli dei vogatori. Il mondo del lavoro, nel suo trascorrere, è stato accompagnato dal canto. Con il boom economico degli anni ’60 questo modus è cambiato. Per nostra fortuna diversi studiosi, ricercatori e musicisti si sono accorti della mutazione in atto e hanno salvato, registrandoli, moltissimi di questi canti. Tra i nomi principali non possiamo non ricordare almeno quelli di Roberto Leydi, Diego Carpitella, Alberto Cirese. Così come è doveroso ricordare gli studi antropologici di Ernesto De Martino e la ricerca capillare in terra di Toscana di Caterina Bueno.

Questo repertorio, per fortuna non è estinto, e da più di cinquant’anni viene riproposto da vari artisti. Con la propria sensibilità e specificità musicale c’è chi reinventa questi canti, chi cerca di riproporli fedelmente, e chi, semplicemente, per amore personale, li interpreta a proprio modo.

Si sono scritte pagine e pagine su “come” questi canti andrebbero eseguiti, sul concetto di canto popolare, sulla funzione sociale del canto stesso che muta profondamente se questo viene eseguito in un contesto lavorativo o su un palco da musicisti. In realtà, come ben dice qualcuno, si può fare tutto e tutto è concesso, l’importante è che ci sia di base un’onestà intellettuale che non dia adito a fraintendimenti. Semplificando: non si spacci una cosa per un’altra.

Approfondiremo più avanti questo discorso. Per ora vi lasciamo con due spettacoli che sono stati fondamentali per la valorizzazione della musica popolare nel secondo Novecento: “Bella ciao” (del 1964) e “Ci ragiono e canto” (regia di Dario Fo, 1966), entrambi a cura del Nuovo Canzoniere Italiano.

“Bella ciao”, come è noto, divenne un caso nazionale per la contestazione che seguì l’esecuzione di Gorizia (canto della prima guerra mondiale). Michele Straniero durante la prima dello spettacolo a Spoleto, al Festival dei due mondi, inserì la strofa “Traditori signori ufficiali, voi la guerra l’avete voluta”, sollevando una feroce contestazione da parte del pubblico, formato in gran parte da allievi della Scuola Ufficiali della città.

La versione che proponiamo del “Ci ragiono e canto” è una ripresa dello spettacolo del 1973, con un cast molto diverso dall’originale. Ci sembra comunque interessante condividere questa versione soprattutto per l’introduzione che lo stesso Dario Fo propone, nella quale illustra il rapporto tra canto e gesto di lavoro.

Roberto Deiana

Foto di 15299 da Pixabay