Qua la zampa amico

Nei precedenti nostri incontri abbiamo spesso incontrato la potenza e la bellezza della Poesia.

Siamo passati da Leopardi a Brecht passando per alcuni autori contemporanei.

Oggi però vogliamo soffermarci su un Caposaldo della cultura mondiale, una di quelle opere su cui si fonda l’intera cultura occidentale.

In questa sede poco ci importa se il suo autore sia o meno esistito come persona fisica. Centinaia di pagine sono già state scritte in merito.

E non ci soffermeremo neanche sull’altra opera attribuita alla stessa persona, se sia o meno frutto della stessa mano.

Anche in questo caso fiumi d’inchiostro sono già stati versati.

Avrete forse iniziato a capire il capolavoro al quale ci stiamo riferendo:

l’Odissea di Omero.

Poesia orale immortalata nella scrittura? O versi vergati che nei secoli si sono fatti voce e canto?

Delle vicende e della simbologia di Ulisse ci sarebbe tantissimo da scrivere, di quanto l’Odisseo di Omero sia distante da quello cantato da Dante nel XXVI canto dell’Inferno (semplificando al massimo: il primo spinto dalla nostalgia di casa e dall’amor patrio e il secondo dalla sete insaziabile di conoscenza), ma oggi vogliamo soffermarci solo su alcune specifiche righe tratte dal XVII libro del poema.

Vogliamo, oggi, ricordare e riflettere sull’incontro tra Odisseo e il suo fedele cane Argo.

Sicuramente tra i versi più commoventi sul rapporto tra uomo e cane, in poche righe Omero (o chi per lui) ha descritto la fedeltà, l’amore incondizionato, segnato da vent’anni di lontananza, tra il vecchio animale ormai morente e il suo padrone.

Dopo tutta la vita trascorsa ad attendere il suo ritorno, la morte coglie Argo proprio dopo aver rivisto Ulisse.

(Omero: “Odissea”, libro XVII)

Così essi tali parole fra loro dicevano:
e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,
Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno
lo nutrì di suo mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra
partisse; e in passato lo conducevano i giovani
a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;
ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,
sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte
ammucchiavano, perché poi lo portassero
i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo;
là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.
E allora, come sentì vicino Odisseo,
mosse la coda, abbassò le due orecchie,
ma non poté correre incontro al padrone.
E il padrone, voltandosi, si terse una lacrima,
facilmente sfuggendo a Eumeo; e subito con parole chiedeva:
“Eumeo, che meraviglia quel cane là sul letame!
Bello di corpo, ma non posso capire
se fu anche rapido a correre con questa bellezza,
oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi,
per splendidezza i padroni li allevano”.
E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi:
“Purtroppo è il cane d’un uomo morto lontano.
Se per bellezza e vigore fosse rimasto
come partendo per Troia lo lasciava Odisseo,
t’incanteresti a vederne la snellezza e la forza.
Non gli sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia,
qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta.
Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano
dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano.
Perché i servi, quando i padroni non li governano,
non hanno voglia di far le cose a dovere;
metà del valore d’un uomo distrugge il tonante
Zeus, allorché schiavo giorno lo afferra”.
Così detto, entrò nella comoda casa,
diritto andò per la sala fra i nobili pretendenti.
E Argo la Moira di nera morte afferrò
appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni.

Dal poema omerico facciamo un salto di alcuni millenni per ricordare la storia di Hachiko, vissuto in Giappone tra il 1923 e il 1935. Ricorderete forse il commovente film di Lasse Hallstrom con Richard Gere. Riprende la vera storia del rapporto tra il professor Hidesaburo Ueno e il suo amico a quattro zampe e di come questi, morto il suo padrone, ogni giorno l’abbia aspettato alla stazione dove l’uomo prendeva quotidianamente il treno per andare a lavoro.

Ci sono sentimenti difficilmente descrivibili, e l’affetto tra l’Uomo e il suo animale (cane, gatto, coniglio, poco cambia) è uno di questi.

Forse è così difficile perché il rapporto affettivo è totalmente incondizionato, a differenza di quello tra esseri umani molto spesso legato (coscientemente o inconsapevolmente) a rapporti di forza tra i soggetti.

Chi vive o ha vissuto in passato questa esperienza sa di cosa parliamo e conosce il grande, incalcolabile dono che ci fanno i nostri amici a quattro zampe.

Oggi abbiamo deciso di omaggiarli e, come scrivevo poco sopra, come non farlo con una delle più alte pagine della letteratura mondiale?

Roberto Deiana

 Foto di Elisabeth Leunert da Pixabay